Sognava i leoni by Matteo Nucci

Sognava i leoni by Matteo Nucci

autore:Matteo Nucci [Nucci, Matteo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: HarperCollins Italia


L’immagine dell’uomo pesante nella pietra è certamente casuale, eppure è perfetta. Quanto sprofonda, infatti, sotto terra, in un vero nulla, questa statua che vorrebbe eternare lo scrittore, con la sua pesantezza di pietra e di idolo, mentre leggera vola la vita, la vita della sua letteratura, una vita già passata, perduta, eppure ancora fantasticamente presente.

Qui, cioè, mentre diversi strati emozionali si fondono l’uno nell’altro, compiendo perfettamente quella che Hemingway e i suoi coetanei chiamavano “quarta dimensione”, vediamo brillare la “quinta”. Ovvero il gesto effimero e leggero che, nella sua volatilità, rompe le barriere del tempo e si fa eterno. Ciò che, però, qui risalta in maniera assolutamente esplicita è che quel gesto appartiene supremamente allo scrittore, a chi lavora perché ama il suo lavoro e con la passione riversata nelle cose più difficili e belle infine perde il contatto con il tempo in cui vive, entra in un eterno presente e incide sulla pagina la bellezza di ciò che a nessun tempo appartiene, perché ogni tempo supera, attingendo alle sorgenti di una dimensione che apparentemente ci è negata. Interessante, poi, che qui la perfezione del gesto dello scrittore sia cercata con l’ausilio di uno strumento molto usato dai compagni modernisti di Hemingway, cioè quel corsivo che sottolinea l’intreccio temporale e spinge a lasciarsi cadere in un passato capace di prendere nuova consistenza e superare le coordinate del tempo e dello spazio.

Quanto allo spazio, Hemingway in un passo è molto chiaro. I libri sono un mezzo sovrano per lacerare la barriera spaziale, visto che liberano la potenza dell’immaginazione e dell’immedesimazione fino ai loro limiti. Di nuovo Tolstoj è dietro l’angolo.

Io avevo ancora I Racconti di Sebastopoli di Tolstoj e leggevo un racconto molto bello, I Cosacchi. C’erano là dentro il caldo dell’estate, le zanzare, il senso della foresta nelle varie stagioni e quel fiume che i Tartari attraversavano nelle loro incursioni: vivevo ancora una volta in quella Russia. E pensavo a come era reale quella Russia dei tempi della nostra guerra civile, reale proprio come qualsiasi luogo, come il Michigan, o la prateria a nord della città e i boschi attorno alla riserva di caccia di Evan; e a come, attraverso Turghenjev, avevo capito d’esserci vissuto, come ero vissuto nella famiglia Buddenbrook, come ero entrato e uscito dalla finestra di lei nel Le Rouge et le Noir. E quella mattina in cui, arrivati alle porte di Parigi, avevamo visto Salcède squartato dai cavalli in Place de Grèves. Rivedevo tutto questo. Ed ero io che quella volta non ero stato straziato sulla ruota perché ero stato gentile col boia il giorno in cui avevano giustiziato me e Coconas; e ricordo la notte di San Bartolomeo, come avevamo inseguito gli Ugonotti, come mi avevano intrappolato nella casa di lei; e non avvertivo sensazione più vera di quella che provai trovando la porta del Louvre chiusa o guardando il corpo di lui giù in mare, là dove cadde dall’albero maestro. E rammentavo sempre l’Italia, meglio di tutti i libri, il riposo di un castagneto



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